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        La Chiesa di Santa Maria del Gamio    
         
                 
        CENNI STORICI        
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Secondo l’ispettore onorario della Soprintendenza Gianluigi Trombetti la Chiesa di Santa Maria del Gamio è una delle più antiche chiese dall’area del Parco del Pollino e per il fatto stesso che il titolo sia di derivazione greca assicura che la fondazione della chiesa sia da ricercare nel tempo della dominazione bizantina, e quindi, a cavallo dell’anno mille. Non possediamo, purtroppo, documenti precisi circa la fondazione della chiesa. Scrive in una lettera “Al Ricevitore del Registro e Bollo in Castrovillari” Don Alessandro Mastromarchi: “riguardo alla fondazione e datazione non ci è dato di presentare alcun titolo perché non ve ne sono, essendo andati smarriti, facilmente nel cambiamento del rito……………….” Molto importante per agganciare storicamente l’evoluzione della chiesa è la nota a calce di una sua poesia del sacerdote Forestieri Spinelli in quale commenta: ”la venerabile parrocchiale Chiesa di Santa Maria di Gamio, che prima, cioè quando Saracena avea il nome di Oppidum Sextium, era tempio di Venere; poi fu Chiesa di rito greco fino alla caduta dei Normanni, cioè fino al XII secolo faciente parte dello scisma. Espulsi i Greci, fu al rito Greco surrogato il Latino. Fin al principio del 1700 si conservò l’iscrizione in marmo della consagrazione di essa Chiesa nel rito greco; ma l’ignoranza di un Procuratore fè disperdere tale greco prezioso documento”. (1)

   
 
                 
        STRUTTURA        
 
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La chiesa è composta da tre navate. (2)

La navata sinistra si apre con l’altare dell’antica confraternita di S. Leonardo, in legno intagliato, dipinto e dorato, datato 1662, che racchiude al centro una tela del Santo dipinta da Giocondo Bissanti sullo scadere del XIX secolo, in sostituzione di un più antico dipinto su tavola documentata in carte del ricchissimo archivio della Chiesa (3). La mensa di questo altare come quelle di tutti gli altri sono in marmo e si devono all’opera del sacerdote D. Alessandro Mastromarchi (1883-1893). Sulla volta in riquadri decorati da stucchi si susseguono dei dipinti raffiguranti il ciclo di Mosé (recentemente restaurati) dovuti a pittori diversi tra i quali Nicola de Qliva ed il saracenaro Francesco Viola attivi tra la seconda metà del ‘700 e i primi del secolo seguente.

   
     
   
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A metà della navata si apre la Cappella di S. Innocenzo Martire con notevole altare in marmi policromi costruito nel 1772 da Marino Palmieri. Tale altare in origine ospitava la bella statua della Vergine, oggi posta sull’Altare Maggiore. Al suo posto venne collocata nel 1831 la statua lignea di S. Innocenzo, di bottega napoletana. Lo sportello del ciborio (ora nella sala del Museo) mostra dipinto un delicato Gesù Infante che risente, purtroppo, dei pesanti ritocchi del Bissanti. (4)
Interessanti sono i due confessionili che si devono all’arte dei Fusco. Oltrepassata la porta della sagrestia si incontra l’Altare della Madonna del Carmine ornata da stucchi elaborati nel 1791. Il dipinto al centro raffigura la Madonna del Carmine tra i Santi Giacomo e Carlo Borromeo, opera del solito Bissanti copiata da una stampa oleografica, anche questa in sostituzione di un dipinto più antico. La navata si chiude con il delicato Altare dell’Angelo Custode, che a Saracena gode di un certo culto. Complesso eseguito da Eugenio eCarlo Cerchiaro nei primi anni del ‘700, mentre la mensa in pietra opera del Ciampa, discepolo di Gesùmaria, risale al 1735. A fianco sulla mensola sinistra è collocata la statua lignea settecentesca di S Antonio da Padova (proveniente, come la statua di S. Vito che si trova nel succorpo, dal distrutto Convento dei Cappuccini)e su quella di destra la statua in cartapesta del Guacci di Lecce, raffigurante S. Rocco.
   
             
        IL SUCCORPO    
 
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(5) La Chiesa è dotata di un Succorpo, ovvero la parte dell’edificio che funziona da cripta quindi nella maggior parte dei casi si tratta di spazi sotterranei. Non così nel caso di S. Maria del Gamio dove il succorpo è dato da un ambiente, ricoperto a volta, che per l’andamento del terreno, fortemente scosceso, è soltanto in minima parte interrato. Nel Succorpo si conserva un buon Altare scolpito in pietra secondo i canoni della Rinascenza con pilastrini adornati dalle figure dei Santi Paolo e Leonardo a sinistra e Pietro e Andrea a destra. Nel palliotto, tra gli stemmi dell’antica casata dei Scornavacca, è posto un bellissimo ed espressivo pannello con il rilievo raffigurante il Cristo morto sorretto da Angeli. Nella nicchia centrale è posta la statua dell’Addolorata risalente alla metà del XIX secolo. Tale Altare precedentemente era dedicato all’Assunta. (6)

   
         
        IL SOFFITTO A CASSETTONI    
 
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La navata centrale (7), sebbene non ampia, mostra una certa solennità, dominata come appare, dal sontuoso soffitto a cassettoni lignei intagliati e iniziati ad indorare dall’artigiano Jacono Lanfusa nel 1618 e proseguiti nell’indoratura da Vincenzo de Untiis nel 1628. La decorazione pittorica con serti di fresche rose si deve invece a Genesio Galtieri di Mormanno e all’anno 1787. (8,9)

   
 
         
        ALTARE MAGGIORE    
 
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(9) A sinistra dell’altare, è il grandioso Pulpito, che fiorisce da un calice, ai cui piedi è la lastra di sepoltura dei sacerdoti ricavata nell’antico ingresso del succorpo. Si tratta di un piccolo ambiente con una serie di sedili in pietra che corrono lungo le pareti. Il Pulpito (10) è la prima opera conosciuta di Gaetano Fusco fondatore di una bottega di ebanisteria, attiva a Morano tra il XVIII e il XIX secolo e famosissima per la bellezza dei lavori eseguiti, che l’elaborò tra il 1751 e il 1754 anche con l’intervento di un tal Francesco la Viola al quale si deve la figura di S. Paolo in predica. Sul lato opposto è la bella Sedia presbiterale che si innesta nel Coro, sempre del Fusco, che si dipana con i suoi 19 posti dietro l’Altare. Il complesso lavoro fu eseguito tra il 1760 e il 1763 per lo spesato di 240 ducati dell’epoca. In una nicchia, sull’alto della parete, è posta la pregevole statua della Vergine sotto il titolo della Natività, opera in marmo dovuta ad un ignoto scultore napoletano del 1766. A Nicola Majna, di Padula, si deve, invece, l’Altare Maggiore che venne modellato nel 1754 anche con marmi provenienti da esaurite cave dei dintorni di Morano Calabro. Nel palliotto, dietro ad una grata, si conservano (ancora oggi) le ossa di S. Innocenzo, portate da Roma nel 1644. Lo sportello del Ciborio, che mostra un Calice con l’Ostia raggiata in argento, si deve a Salvatore Vecchio che lo sbalzò nel 1766.

Il Presbiterio è chiuso da una balaustra in marmo risalente al 1894 (in sostituzione di quella in legno, forse dello stesso Fusco).

   
             
        FONTE BATTESIMALE    
     

In fondo alla navata destra: il Fonte Battesimale (11) con leone stiloforo del tardo ‘ 400 che sorregge una vasca in pietra e un cappello ligneo decorato da una serie di archetti intrecciati che si assegna alla fine del XVI secolo.

   
   
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        POLITTICO    
 
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(12,13) Nella sagrestia si trova un Polittico cinquecentesco sorretto da un pancone di cui si ignora l’autore. L’opera riporta nelle formelle superiori la scena dell’angelo che reca l’annuncio alla Madonna. In quelle centrali, San Biagio con in mano la graticola con la quale è stato e san Francesco da Paola. Nelle formelle inferiori l’adorazione dei Magi e la decapitazione di Giovanni il Battista. Alla base delle colonnine lo stemma dei Sanseverino (14), signori di Saracena. La parte centrale è andata perduta e non si hanno notizie di cosa vi fosse rappresentato e fino al restauro avvenuto nel 1974 non si sapeva nemmeno che la parte centrale mancava per il fatto che le formelle laterali erano attaccate al centro. Se l’anno della realizzazione del Polittico è il 1522, come alcuni ritengono, siamo di fronte ad una delle prime raffigurazione del santo di Paola che fu canonizzato nel 1519. (15)

Dopo la sagrestia c’è il Museo di Arte Sacra e l’Archivio storico